In Warm Bodies ci ritroviamo in un non ben precisato futuro in cui gli
zombie si sono diffusi sulla terra e sono rimaste solo poche, piccole
roccaforti di esseri umani ancora in vita.
E fin qui niente di nuovo sotto il sole, dato che “la piaga zombie” è un
tema che è stato molte volte affrontato, non solo da scrittori ma anche
da registi e sceneggiatori (vedi, per esempio, la recente serie TV The
Walking Dead, con i vari annessi libri e fumetti).
Marion però inserisce nel suo romanzo un elemento originale, che ha
fatto storcere il naso a molti, in parte me compresa: l’amore tra uno
zombie e una umana.
Se pensiamo alla concezione che la maggior parte di noi ha degli zombie,
ci figuriamo delle persone decedute in decomposizione che avanzano con
fare strascicato sussurrando “Cervellooooooooo”.
L’autore parte da un quadro simile: gli zombie ondeggiano per la città, chi più chi meno integro, dando la caccia alle persone in vita per nutrirsi di loro. Ma c’è un motivo per cui la loro meta più ambita è il cervello di una persona: ingerendolo infatti i non morti sono in grado di rivivere alcuni istanti di vita dell’individuo in questione, di risentirsi vivi. Inoltre queste creature sono in grado di parlare (niente di troppo complicato,eh) e hanno costituito una sorta di società, in cui si sposano e hanno figli che portano a scuola, il tutto ovviamente in non morto style: per esempio, i piccoli zombie a scuola imparano come attaccare i vivi e procurarsi del cibo.